La detrazione dell’IVA non può essere negata a causa della mera incongruità del costo.

Con la sentenza n. 19341.20, emessa il 24 giugno 2019, e depositata il 17 settembre 2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di IVA, la detrazione non può essere esclusa solo in virtù di un mero giudizio fondato sulla congruità del costo, salvo che l’amministrazione finanziaria dimostri la “macroscopica antieconomicità” dell’operazione, la quale costituisce elemento sintomatico dell’assenza di correlazione dell’operazione IVA con lo svolgimento dell’attività imprenditoriale. In pratica, i giudici di vertice, allineandosi alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, hanno precisato e confermato l’assunto secondo il quale un costo, benché rilevante, deve comunque considerarsi detraibile, ai fini IVA, laddove risulti comunque astrattamente connesso (e quindi afferente) all’attività economica esercitata dal soggetto passivo che l’ha sostenuto. Il disconoscimento dell’IVA potrà ammettersi o comunque risultare attendibile soltanto nell’ipotesi in cui il fisco dimostri che il costo, in quanto “macroscopicamente antieconomico”, non può di per sé essere riferito e/o collegato all’attività economica del soggetto che l’ha sostenuto. Nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria aveva contestato il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a fronte di consulenze professionali, il cui pagamento era stato sostenuto dalla società controllante e riaddebitato alla controllata, nei cui riguardi era stata segnatamente indirizzata la contestazione, in quanto dette consulenze avrebbero riguardato un mero studio preventivo di fattibilità dell’operazione di fusione (peraltro poi realizzatasi), riferibile unicamente alla controllante, e privo di connessione con l’attività economica segnatamente svolta dalla controllata. In particolare, il fisco lamentava l’eccessiva onerosità delle prestazioni, sostenendo che, proprio perché tali, non avrebbero potuto essere riferite alla società controllata ed alla attività da questa svolta. I giudici dell’appello avevano condiviso la tesi erariale, ritenendo pertanto valido l’avviso di accertamento che la conteneva, oggetto della causa decisa dalla sentenza in commento. Per la Corte di Cassazione, tuttavia, dagli atti di causa non emergeva che i giudici dell’appello avessero debitamente verificato la ricorrenza della citata “macroscopica antieconomicità”, ossia, del requisito in presenza del quale la detrazione dell’IVA può essere messa in discussione tenendo conto dell’entità del costo sostenuto. Motivo per il quale la causa è stata rinviata per essere nuovamente esaminata in appello. Quello indicato dalla Corte di Cassazione rappresenta un principio di fondamentale importanza, rilevante in linea generale, e quindi non solo in caso di operazioni complesse, come quella oggetto del giudizio in commento. Vale a dire che secondo la Corte di Cassazione, nonché, secondo la stessa Corte di Giustizia, l’IVA deve considerarsi detraibile, sebbene assolta su un costo rilevante, atteso che il costo in sé può giustificare il disconoscimento della detrazione solo se lo stesso risulti (e venga dimostrato come tale dall’Amministrazione Finanziaria) “macroscopicamente antieconomico”, atteso che detta antieconomicità lascia presumere la sua non afferenza all’attività economica di chi lo sostiene. Pertanto, nel caso in cui il fisco contesti l’entità del costo, senza spingersi a contestarne (provandola) la “macroscopica antieconomicità”, non potrà ritenersi legittimato a disconoscere il diritto a detrarre l’IVA relativamente assolta.

Avv. Fabio Falcone – Presidente della Camera degli Avvocati Tributaristi della Romagna

Articolo estratto dall’inserto di Economia del Corriere Romagna del 30 settembre 2020

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