Per le grandi imprese lo studio di settore rileva anche con percentuali di scostamento contenute (articolo tratto dall’inserto di Economia del Corriere Romagna del 10 giugno 2020 10_06_2020 Quotidiano NG 1006 cronaca 24 Cronaca Nazionale)

Con la sentenza n. 10952/20, emessa il 15 maggio 2019 e depositata il 9 giugno 2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che laddove l’Amministrazione finanziaria rettifichi il reddito di una grande impresa ricorrendo allo studio di settore, quest’ultimo può ritenersi correttamente applicato, anche laddove lo scostamento non sia, in percentuale, oltremodo elevato, atteso che per tali operatori economici anche uno scostamento contenuto può significare la mancata dichiarazione di importi notevoli e considerevoli. Così statuendo la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società bergamasca che, a fronte dell’accertamento emesso dalla competente Agenzia delle Entrate e basato sullo studio di settore e, nello specifico, sullo scostamento da esso emergente, aveva adito la commissione tributaria provinciale territorialmente competente, sostenendo, tra l’altro, l’illegittimità e l’infondatezza della pretesa erariale, atteso che lo studio di settore di per sé non avrebbe mai potuto giustificare detta pretesa, considerato, per l’appunto, che lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli presuntivamente emergenti da tale metodo di determinazione statistica risultava comunque contenuto, essendo pari al 4,98%. Al vero, il ricorso del contribuente veniva respinto sia in primo grado che in appello, atteso che a dire dei giudici del merito la rilevanza dello scostamento andava considerata non solo in termini di percentuale tra dichiarato ed accertato, ma anche tenendo conto dell’importo presuntivamente non dichiarato, unitamente all’attività svolta dalla società destinataria della contestazione, ed al settore in cui la stessa risultava aver operato (nello specifico, il settore delle costruzioni). La società impugnava la sentenza d’appello ad essa sfavorevole in Cassazione, chiedendone la riforma in considerazione della violazione e della non corretta applicazione della normativa regolante l’uso dello studio di settore (articolo 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993). I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso sostenendo che lo scostamento emergente dall’applicazione dello studio di settore era tale da giustificare e legittimare la pretesa erariale, a fronte della quale la parte non aveva fornito utili giustificazioni, ossia, tali da poter spiegare il motivo di detto scostamento, dimostrando, quindi, che questo non era dovuto alla mancata dichiarazione di ricavi. In ordine alla rilevanza dello scostamento emergente dallo studio di settore, i giudici di vertice hanno precisato che “il criterio della cosiddetta grave incongruenza non va solo ancorato ad un dato numerico riconducibile alla percentuale di scostamento (7,8,10%?), ma ad una valutazione più complessa, che non può ignorare il risultato in sé dello scostamento, dovendo altrimenti ritenersi che a fronte di imprese molto grandi, la cui singola unità percentuale di scostamento può equivalere a milioni di euro rispetto ai complessivi ricavi sociali, anche differenze di tale portata dovrebbero considerarsi prive del requisito della grave incongruenza”. La sentenza in esame rappresenta un utile insegnamento, del quale tenere conto soprattutto qualora ci si trovi al cospetto di contestazioni erariali basate sullo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli riferibili, statisticamente, al settore economico di appartenenza.

Avv. Fabio Falcone – Avvocato tributarista, Cassazionista, Dottore di Ricerca in diritto tributario europeo, Presidente della Camera degli Avvocati Tributaristi della Romagna