In caso di operazioni soggettivamente inesistenti la detrazione dell’Iva spetta al cessionario in buona fede
(tratto dall’inserto di Economia del Corriere Romagna dell’8 aprile 2020 – si veda link in basso)
Laddove l’Amministrazione finanziaria contesti la detrazione dell’Iva nei confronti di un contribuente, sostenendo che questi ha utilizzato le fatture emesse da una società cartiera che, in quanto tale, non rappresenta il reale fornitore della merce, rappresentando soltanto un soggetto che si è interposto tra il reale fornitore ed il reale acquirente, nell’ambito di una cosiddetta frode carosello, è tenuta a provare non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza, in capo al destinatario, che l’operazione commerciale si inseriva all’interno di una frode Iva. In particolare, in aderenza all’insegnamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia, l’Amministrazione finanziaria, in simili circostanze, è tenuta a provare, sulla base di elementi specifici ed effettivi e non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva, ovvero, mediante l’uso della ordinaria diligenza, avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale; in caso contrario, nonostante le condotte fraudolenti di terzi, il cessionario in buona fede (ossia, che non sapeva né avrebbe potuto sapere, pur utilizzando l’ordinaria diligenza) mantiene inalterato ed intatto il proprio diritto alla detrazione. E’ questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione con la ordinanza n. 7693/20, emessa il 12 dicembre 2019 e depositata lo scorso 6 aprile 2020, con la quale è stato respinto il ricorso opposto dall’Agenzia delle Entrate. Quest’ultima era ricorsa in Cassazione chiedendo la riforma della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, la quale aveva annullato gli atti di accertamento impugnati dal contribuente sostenendo che nel caso di specie non erano emersi elementi ulteriori, al di là della fittizietà del fornitore, in grado di giustificare e legittimare il disconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva. In particolare, per i giudici del merito nel corso del giudizio non erano emersi legami di alcun genere tra i soci del contribuente accertato ed i soci della società cartiera; nel contempo, dall’operazione commerciale esaminata il contribuente non risultava aver conseguito nessun particolare vantaggio economico. Pertanto, i giudici di vertice ritenevano la decisione assunta in appello corretta e non censurabile, anche perché conforme all’insegnamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia che, in simili casi, esige che venga tutelato il diritto alla detrazione dell’Iva del cessionario che ha agito in buona fede. La sentenza in commento è particolarmente rilevante, proprio perché evidenzia che in caso di frodi cosiddette carosello non basta accertare la fittizietà del fornitore per disconoscere la detrazione dell’Iva operata dal cessionario, occorrendo dimostrare, in maniera specifica, che quest’ultimo sapeva o comunque avrebbe dovuto sapere della frode realizzata dal proprio fornitore.
Avv. Fabio Falcone – Avvocato Tributarista, Cassazionista, Dottore di ricerca in Diritto Tributario Europeo, Presidente della Camera degli Avvocati Tributaristi della Romagna